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Alessandro De Pol: un discorso da Panathleta

  • 6 min read

Il testo del suo intervento da neo “Mulo de or”

Ci sembra che le parole che Alessandro di Paolo ha rivolto dopo aver ricevuto dal Panathlon Trieste il premio “El mulo de Oro” meritino di essere conosciute anche da panathlenti che non hanno potuto ascoltarle. Qui di seguito quanto ci ha detto.    

“Quando qualche mese fa mi ha chiamato Ceccotti per informarmi che quest’anno il Panathlon ha deciso di premiare me, ho risposto: “Andrea son De Pol, te ga sbaglià numero”! Ci ha messo qualche minuto a convincermi che non era un errore e che volevate assegnare a me il premio “El mulo de oro”.

Beh …innanzitutto grazie, perché vuole dire che son ancora “mulo” e già questo di per sé è un toccasana per la mia autostima.

Mulo è un vocabolo triestino conosciuto in tutta Italia che si utilizza per definire i ragazzi di Trieste; è una parola che ho sempre diffuso con grande orgoglio, perché le attribuisco un’accezione positiva che ricorda la testardaggine, quella volontà di andare oltre le difficoltà anche quando sembrano montagne troppo alte da scalare o quando ti trovi in campo e gli avversari sono più grandi e grossi di te, hanno più talento, ma la maggior parte forse non è passata attraverso gli infortuni che hai subito tu, non è rimasta in palestra ad eseguire interminabili sedute di tiro quando ormai tutti erano già a casa pronti per la cena. Tutto questo perché? Perché hai avuto la fortuna di trovare sulla tua strada persone che ti hanno fatto capire il valore del lavoro, del sacrificio, del dare tutto quello che hai e forse qualche volta anche quello che non hai, ma sempre in modo corretto, senza mai trovare scorciatoie.

Lego il ricordo di queste persone eccezionali ad una barzelletta: un ricco organizza una festa e nella sua lussuosissima villa c’è una vasca piena di coccodrilli. Chi si fosse tuffato nella vasca e fosse riuscito a salvarsi, avrebbe ottenuto immense ricompense, un lascito quasi inestimabile. Ad un certo punto si sente un rumore e c’è uno in vasca che sta lottando con i coccodrilli, riesce ad uscire con la camicia a brandelli ed i pantaloni tutti strappati, pieno di lividi e graffi….. Il proprietario di casa gli dice “Complimenti, lei ora ha tutti questi soldi, è un uomo ricchissimo”, l’uomo che è uscito dalla vasca si gira e dice “A me non interessano tutte queste cose, ma volessi saver dove xe quel mona che me ga sburtà ”… Per imparare a sopravvivere in quella vasca ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita persone che mi sono state vicine dall’inizio: i miei genitori, i quali ancora oggi rimangono un punto di riferimento importante e ai quali chiedo sempre come è andata la telecronaca ad esempio. Lo chiedo anche a mia moglie, che essendo insegnante di italiano ha competenze in merito e vi assicuro che non me ne fa passare una… Scherzi a parte, se non ci fosse lei a prendersi cura della famiglia, non potrei viaggiare e svolgere questo mestiere.

Devo ringraziare gli allenatori che mi hanno formato e insegnato molto, Boscia, senza il quale probabilmente non avrei avuto questa vita, e Bocchini in primis: ogni allenatore mi ha lasciato qualcosa, anche quelli con i quali ho litigato. Devo ringraziare i miei compagni, amici con i quali si condividevano momenti di disperazione dopo una sconfitta o di gioia e festa dopo una vittoria; ancora oggi, a distanza di anni, guardandoci negli occhi quando ci incontriamo, c’è un’intesa speciale, quella che possono conoscere solo coloro che hanno lottato fianco a fianco per raggiungere un obiettivo comune, che a parole non si può descrivere!

E poi gli avversari, ma mai nemici, soprattutto quelli più forti, perché se volevi batterli dovevi spingerti oltre, essere disposto ad alzare la famosa asticella migliorandoti per forza.

Dedico questo premio a loro, che mi hanno fatto crescere come giocatore e come persona, perché mi hanno insegnato la “cultura della fatica”, ma sempre con il sorriso, la necessità di rialzarsi dopo una sconfitta e del “darci dentro” ancora di più, le regole del vivere in gruppo, che cerco di trasmettere a mia figlia ed ai ragazzi delle giovanili che alleno.

Se qualcuno, 44 anni fa (dopo aver rotto un lampadario in soggiorno con un pallone e aver fatto parecchio arrabbiare mia madre per eventi simili), mi avesse detto che avrei legato così strettamente la mia vita alla pallacanestro, lo avrei preso per matto; è stato ed è ancora un viaggio bellissimo. Non posso più continuare a giocare saltando o correndo come una volta, per motivi fisici, ma parlare di pallacanestro o stare insieme ai ragazzi su un campo di basket mi fa ritornare continuamente a quando avevo 6 anni: la sera, dopo l’allenamento sul campo di Servola all’aperto, tornavo a casa con tutte le ginocchia ed i gomiti sbucciati, sporco e sudato, ma non smettevo ancora di giocare…Il mio bagno si trasformava in un campo da basket, il cesto della biancheria sporca diventava il canestro di Chiarbola dove andavo a vedere l’Hurlingham giocare, la palla di carta scotch e plastica che avevo costruito era il pallone… I secondi sul cronometro stavano per scadere, la mia squadra era sotto di 1… siamo -3, mi smarco dall’ avversario, …-2, prendo la mira e tiro…-1 la palla lascia la mia mano, con la sua parabola sfiora il braccio dell’ultimo difensore sbucato all’improvviso ( il telefono della doccia) e, delicatamente, dopo una lunghissima parabola, atterrava sopra le lenzuola dentro la cesta! Urla di gioia!!!

I miei dalla cucina che mi invitano calorosamente ad abbassare la voce e di smetterla con quella confusione (sono chiaramente tifosi degli avversari che hanno perso!), per me invece… un’altra incredibile vittoria allo scadere!!! Nei miei sogni di bambino non ho mai ancora perso una partita e vi assicuro che non perderò mai!

Grazie a tutti, per me è davvero un grande onore ricevere questo premio!!! “

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