Una serata con Filippo Galli per la conviviale di ottobre del Panathlon Club di Pordenone, un ospite capace di sorprendere i presenti con la sua grande umanità e una visione del calcio che non si esaurisce né sul rettangolo di gioco né nello spogliatoio, ma diventa insegnamento per la vita.
La serata, introdotta dalla presidente Elisabetta Villa, è iniziata con il Consigliere internazionale Paolo Perin che ha illustrato ai presenti la bella crescita
che il Panathlon sta avendo a livello globale, con nuovi paesi coinvolti, nuovi club che nascono e bellissime iniziative che vedono in stretta collaborazione i club dell’Alpe Adria. La consigliera Romy Santin ha raccontato di come, grazie alla sensibilità del Pordenone Calcio (era presente il responsabile area tecnica Claudio Canzian) tanti bimbi in Kenya e in Colombia, le prossime mete delle Lady Avventura, potranno avere del bellissimo materiale tecnico per cimentarsi nei loro sport preferiti.
Ciò che ha reso straordinaria la serata è stato l’ospite. Filippo Galli ha fin dal primissimo impatto conquistato i presenti per la disponibilità, la cortesia e l’attenzione che ha dedicato a tutte le persone che arrivavano nella sala per la conviviale. Il suo intervento ha confermato e migliorato ulteriormente la prima impressione.
Si autodefinisce eretico, perché quello che predica difficilmente viene accettato nel mondo del calcio italiano. È una visione in cui nella fase di crescita i giovani atleti devono essere curati sotto tutti gli aspetti, non visti come un tesserino il cui valore cresce nel tempo, ma come persone che devono crescere sotto tutti i punti di vista: tecnico, tattico, atletico, umano. Specie per i più giovani la crescita non va vissuta come sacrificio,
perché compito del bravo tecnico è anche saper creare dei setting che rendano gli allenamenti divertenti ed appassionanti. Solo così può esserci vera motivazione: l’urlo dell’allenatore per spronare gli atleti funziona solo se questi hanno dentro motivazione, altrimenti è solo fiato sprecato. E per arrivare a questo la parola magica è relazione. Bisogna comunicare, la squadra funziona quando tutti sanno qual è il loro ruolo e sanno comunicare con efficacia tra loro. Allora le cose cambiano davvero. Va superata l’ossessione per la tecnica, che non è il fine, ma uno strumento per risolvere le situazioni di gioco: allenarla senza l’applicazione in una situazione reale, in cui spazio e tempo risultano cruciali perché sia efficace, non serve a nulla.
Molti di questi concetti sono emersi
quando ha cominciato a parlare di quella squadra stellare che fu il Milan di Berlusconi. Nel giro di pochi anni si passò dalla gestione Farina, dove si viveva giorno per giorno, e la squadra in ritiro a Milanello si ritrovava in mezzo a feste e matrimoni che avevano affittato le strutture per il fine settimana, ad un progetto con una visione rivoluzionaria, che inizia dall’attenzione per le persone. I giocatori non dovevano avere pensieri, perché un gruppo organizzatissimo pensava ad ogni
singolo aspetto. “A Virdis portavano i pannolini per il suo piccolo a Milanello, perché potesse concentrarsi sul suo ruolo”. Ricorda una serata a Publitalia in cui Berlusconi prima parlò a braccio per 45 minuti, poi scese in sala e chiacchierò con ognuna delle 150 persone presenti, che conosceva ad uno ad uno, chiedendo ad ognuno informazioni sulla vita e sulla famiglia. Attenzione alle persone. E visione: la scelta di un allenatore rivoluzionario come Sacchi, e la ferma decisione di tenere duro all’inizio, quando tutto sembra andare male. Così, quasi per incanto, dopo una prima, sorprendente vittoria, i successi si accumulano uno dietro l’altro. Quell’affermazione che sembrava un sogno, “dobbiamo arrivare sul tetto del mondo!” diventa realtà concreta, quella squadra entra nella storia. Squadra, allenatore, dirigenza, tecnici, organizzazione: tutto che lavora all’unisono, questo il segreto.
Ma oggi un altro pericolo è in agguato. In una società sempre più centrata sull’individuo diventa difficile parlare di altruismo, di squadra, ma senza squadra non si va da nessuna parte, senza fiducia reciproca e altruismo non si vince. Lo sapeva bene Maradona, quando, parlando del suo incredibile gol contro l’Inghilterra ai mondiali, in cui da solo scese dalla propria metà campo fino a segnare, spiegò che il merito era della squadra, perché senza i suoi straordinari compagni che distraevano gli avversari segnare quel gol sarebbe stato impossibile. Anche il rapporto con i procuratori deve essere schietto e corretto, soprattutto deve guardare al bene dell’atleta in una prospettiva di lungo termine, senza bruciare le tappe. I giocatori hanno bisogno di crescere armonicamente, senza inutili forzature, imparando ad essere un punto di riferimento per i compagni e a fidarsi di loro, e salendo di categoria quando sono davvero pronti a fare il salto.
Infine, una riflessione: dei tanti ragazzi che giocano a calcio quanti diventeranno professionisti? Pochissimi. Per questo non bisogna crescere solo bravi atleti, ma persone complete e preparate capaci di trovare la loro strada vincente non solo sul campo di gioco, ma nella vita.
Filippo Galli: un grande campione, davvero: in campo, in panchina, nello spogliatoio, nella vita.
