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CALCIO ALABARDATO AL CLUB TRIESTE MUGGIA

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la dinastia muiesan, GOL IN SERIE CON L’UNIONE NEL CUORE

Una dinastia di bomber, tre generazioni di calciatori con il “vizietto” del gol (e una quarta si sta già preparando per perpetuarla). Ma soprattutto una dinastia di calciatori perdutamente innamorati della Triestina e nei secoli fedeli all’Alabarda, come i carabinieri lo sono con l’Arma. Sono i Muiesan, le cui origini “pescano” a Pirano. La loro storia di famiglia e le loro singole storie sono state nei giorni scorsi le protagoniste della conviviale del club Trieste Muggia. La storia di Giovanni che da ragazzo, dopo l’esodo, venne mandato in collegio a Pesaro insieme al fratello Vittorio e lì iniziò a fare il calciatore nel settore giovanile per divertimento. Ma finito il collegio è tornato a Trieste e per 35 anni è stato ininterrottamente nella “famiglia” alabardata, uno dei factotum più apprezzati. 

La storia di suo cugino Lucio, che invece con la famiglia si trasferì a Roma da bambino e calcisticamente è nato nel settore giovanile della Roma. Ha avuto una buona carriera da professionista, calcando i palcoscenici della serie A con i giallorossi, appunto, e con il Bologna. Il ruolo? Attaccante, ovviamente. Ca va sans dire. Lasciò il segno nella massima serie, ma con il Bari fu anche capocannoniere della serie B. Poi passò dalla Salernitana, dall’Arezzo e lì vive ancora oggi. Della famiglia, è l’unico che ha avuto il previlegio di essere una, ma anche più di una, figurina Panini.

Quindi quella di Vittorio, lo stesso nome di suo zio. E’ stato lui l’ospite che ha materialmente raccontato la saga dei Muiesan ai soci del “Trieste-Muggia”. A 17 anni esordio con la Triestina contro il Treviso in serie C1, poi un anno al Pordenone, di nuovo alabardato nel 1979 e quindi un giro nell’Italia di serie C: in rapida successione Mantova, Giulianova, Fermana, Pergocrema, Potenza, quindi il riavvicinamento alla Pro Gorizia e poi il ritiro. Da allenatore, invece, una carriera tutta alabardata; iniziata dai Pulcini e che attraverso l’intera trafila del settore giovanile l’ha portato alla prima squadra, come vice di Rossitto sulla panchina dell’Unione allora in serie D. Nell’unica presenza da titolare ha portato la Triestina alla vittoria nel derby contro il Monfalcone (2-1). Poi l’uscita dalla società con l’arrivo di Pontrelli e il ritorno un paio di anni dopo, richiamato da Mauro Milanese. E oggi è sempre lì, con l’Alabarda marchiata sulla pelle, che allena la Primavera e gli Juniores Nazionali.

Suo figlio Matteo, invece, è il più prolifico: 243 reti sparse fra serie C2, serie D e tornei Dilettanti. Ma è anche il più longevo: a 40 anni suonati è ancora in campo e non ha ancora voglia di smettere. Continua a “timbrare” tutte le porte avversarie con regolarità. Anche per lui, inizio alabardato con le giovanili, fino all’esordio in serie D: Anche per lui, poi, tante tappe in serie D (Settaurense, Pro Gorizia, Massalombarda, Bolzano, Nardò, Este, Pordenone), con l’intermezzo della C2 con l’Imolese. Poi il ritorno e la discesa nei Dilettanti. Prima in regione (Itala San Marco, Manzanese, Monfalcone), poi a casa: Ponziana, di nuovo Triestina, San Luigi, Vesna e adesso Zaule dove gioca, si diverte e soprattutto segna.

Una storia così intensa non poteva non suscitare la curiosità dei presenti e con essa le domande che hanno alimentato a lungo il dibattito. Dibattito che dalla Triestina è sconfinato nel calcio di ieri e di oggi, nell’analisi della trasformazione da calcio tecnico a muscolare, dal puro estro dei singoli agli schemi che tutto prevedono e nulla lasciano più all’inventiva. Una serata piacevole, interessante, molto gradita dai presenti.  

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