UNA CONCEZIONE “MASCHILISTA”
Se vi chiedessi di pensare a 10 grandi campioni dello Sport difficilmente qualcuno di voi penserebbe ad una donna. Il motivo è semplice, statisticamente il numero di donne che hanno raggiunto grandi risultati in ambito olimpico sono di gran lunga inferiori rispetto a quello degli uomini.
Le cause sono molteplici; culturali, economiche e sociali. Praticare sport è stato per molti secoli una prerogativa maschile.
Erano i ragazzi a dover forgiare il proprio corpo per motivi militari ed estetici, le ragazze al massimo potevano dedicarsi alla danza o alla musica. Ancora oggi, in alcuni Paesi del Medio Oriente, le femmine non possono praticare alcune discipline.
Pregiudizi, stereotipi che accompagnano la condizione femminile sin dalla notte dei tempi. Da quando si decise che il ruolo di fattrice implicasse la rinuncia a rimanere individuo.
Nel mondo classico, della Grecia arcaica, vi era una chiara divisione tra il mondo maschile e quello femminile.
Nascere donne significava non poter avere alcun ruolo politico, istituzionale, ma nemmeno “intellettuale”. La storia ed il costume del mondo greco ci è stata tramandata dagli storiografi, che non nominano alcuna donna. Tralasciando la poetessa Saffo, possiamo dire che, nell’antichità, non vi è traccia di esempi di “grandi donne”.
Pensiamo ai soggetti dalla scultura, o degli affreschi; la bellezza femminile viene omessa, preferita ai kouros; forzuti e perfetti o efebici e armoniosi.
Cercando con attenzione nei tanti testi giunti sino a noi scopriamo, però, che il grande Omero non si è dimenticato del gentil sesso. Il cantore per antonomasia racconta di donne e sport a modo suo.
Nel canto VI dell’Odissea, narrando le vicende legate alla colonia greca di Troia, ci presenta Nausicaa, colei che brucia le navi, intenta a giocare con le ancelle a palla sulla spiaggia. “Nausicae in mal tolse la palla, e ad una / delle compagne la scagliò: la palla / desviassi dal segno cui valeva, / e nel profondo vortice cadè / “ .
La figlia del re dei Feaci però non è una donna greca. Il suo popolo, secondo la mitologia, è dedito alla navigazione e la loro cultura si contrappone non poco a quella greca. Non a caso molti storici hanno definito la terra dei Feaci un locus ameno, prospero e felice. Qualche ricercatore sostiene sia da collocarsi a Corfù, altri nella Sardegna nuragica.
La testimonianza della bella fanciulla stride con la realtà femminile descritta dall’aedo che pone ad exemplum la fedele Penelope.
Ma è uno scorcio verso culture diverse che consideravano il gioco parte integrante delle proprie abitudini. La storia ci dice che nel corso della prima edizione delle Olimpiadi, nel 776 a.C., vennero organizzati dei giochi dedicati alla moglie di Zeus, Era, appositamente perché vi partecipassero le donne.
Gli “Erei” erano in realtà delle corse rituali. Le ragazze ammesse dovevano percorrere la distanza di circa 150 metri. Una “sfilata” che dimostrava agli uomini l’avvenuto passaggio dalla pubertà alla maturità. Una passerella che sanciva la disponibilità ad essere date in moglie.
Parità di trattamento invece nella bellicosa Sparta. La città Stato dominata da una aristocrazia guerriera, esigeva cittadini valorosi.
Non facevano eccezione le donne che, erano educate sin da bambine alla pari degli uomini. Anche loro dovevano allenarsi ed eseguire quotidianamente esercizi militari. Il fine era pratico, riuscire a difendere la città qualora fosse attaccata mentre gli uomini erano impegnati in guerra. Gli allenamenti erano promiscui. Non solo, le atlete e gli atleti erano quasi nudi per facilitare il movimento. L’educazione alla cura del corpo, considerato arma di difesa per se e per gli altri, iniziava sia dalla giovane età.
Lo Stato garantiva a tutti i nati, qualunque fosse la loro condizione sociale, un sistema scolastico molto rigido. Oltre al grammatico e al citarista per l’insegnamento della grammatica e delle musica ogni bambino aveva un pedotriba che si occupava di educare alla cura del corpo.
La democrazia maschilista ad Atene, che vietava alle donne di assistere persino alle gare da una parte e la pragmatica Sparta dall’altra. Paradossalmente la culla della filosofia e
della letteratura è stata più discriminatoria con le donne di quanto non lo fu Sparta. Meno colta, raffinata ma pronta a trattare donne uomini come individui ugualmente funzionali al bene dello stato.
Sono passati molti secoli, molto è cambiato ma qualcosa rimane nell’immaginario collettivo. Se i grandi poeti ci avessero raccontato di donne velocissime, astute e coraggiose, se gli storici avessero dato il giusto spazio alle eroine. La storia per noi donne è ancora tutta da scrivere.
Alessandra Rutili/Panathlon Verona 1954
Fonte: Lettera 22 marzo 2019