Superlega europea di calcio per aumentare gli affari
L’ipocrisia del calcio professionistico è caduta. L’annuncio dell’Eca (l’associazione dei più ricchi club europei, presieduta da Andrea Agnelli) di voler organizzare per il 2022 un campionato europeo modella Nba a 12 squadre (con l’obiettivo si arrivare a 20 nel 2024) toglie finalmente il velo al calcio non più inteso come sport, ma come spettacolo sportivo, come affare milionario legato a diritti televisivi e sponsor, bandendo il merito sportivo (non ci sono retrocessioni o promozioni, è un campionato chiuso) e molti dei valori fondanti dello sport. Un secolo di passioni, simboli, miti, leggende, identificazioni e cultura che rischiano di essere gettati nell’immondizia per sostituirli con una sorta di Wrestling calcistico, senza anima né realtà. Fifa e Uefa hanno reagito con durezza, minacciando di escludere i club che aderiranno alla Lega europea, escludendo i giocatori interessati dalle rispettive nazionali e le società dai vari campionati. Da molti anni si avvertiva (anche da parte di chi scrive) sulla pericolosa deriva tutta professionistica del calcio, ammonendo che questo avrebbe trascinato anche altre discipline sportive sulla via del “circo” (con tutto il rispetto e la considerazione per l’arte circense). L’esempio delle leghe professionistiche Usa è da tempo all’attenzione di tutti, come il fatto che le mode consumistiche degli Stati Uniti d’America vengono copiate (speso nel peggiore dei modi) nel resto del mondo con un fisiologico ritardo. Del resto anche la Fifa e l’Uefa, cioè le organizzazioni mondiale e europea del calcio non hanno fatto nulla per impedire questa deriva, anzi l’hanno assecondata perché portava enormi guadagni attraverso i diritti televisivi e le sponsorizzazioni. E nemmeno il Cio in passato è stato fermo nella difesa dei principi e dei valori dello sport, ma almeno negli ultimi anni ha cercato di cambiare rotta e riformare lo sport olimpico.
Le intenzioni dell’Eca sono chiare: fare più soldi. Con la consulenza di Jp Morgan l’affare sarebbe di sei miliardi di euro, tra diritti tv, sponsor e merchandising e indotto costituito dalla proprietà degli stadi (centri commerciali e altre attività). Gli attori di questo spettacolo sarebbero giocatori strapagati, ma con club che devono rispettare il tetto salariale. Per tutelarli, inevitabilmente verrebbero allentati contatti e difese (come avviene nell’Nba) premiando spettacolo e gol. Gli arbitri dovrebbero anch’essi essere svincolati da Fifa e Uefa, ma controllati dalla Superlega che li paga. Un professionismo che eliminerebbe, se non altro, l’ipocrisia attuale di “dilettanti” retribuiti con una media di 300 mila euro all’anno. Sponsor sempre più invadenti determinerebbero la necessità di aumentare gli spazi a loro venduti (più pause televisive).
Per ora hanno aderito alla Superlega Juventus, Milan e Inter in Italia, Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid in Spagna, Paris Saint Germain in Francia, Manchester City, Manchester United, Liverpool, Arsenal, Totthenam e Celsea in Inghilterra mentre in Germania il Bayern Monaco è ancora in dubbio. I Governi di queste nazioni sono contrari al progetto, la maggioranza dei tifosi anche, le federazioni nazionali minacciano azioni legali. Non è una questione tra conservatori di ideali e progressisti degli affari e della tecnologia. E’ in ballo la concezione stessa, la filosofia e l’etica dello sport. Prevarrà ancora una volta il denaro sullo sport? E’ una battaglia che non riguarda solo il calcio; a essere minacciata è la stessa idea sportiva. La strada del professionismo porta alla piazza dello spettacolo puro. Tennis, sci, atletica leggera sono già con un piede in questa illusione di ricchezza. Chi vincerà? In questo caso la risposta non può essere “il migliore”, ma l’amore per lo sport come aretè, virtù, e non danè, soldi.
Umberto Sarcinelli