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L’omaggio del Panathlon Udine a Gianni Corsolini

  • 12 min read

serata d’eccezione tra passato, presente e prospettive future con ospiti protagonisti della storia del basket italiano

Straordinaria serata di basket a trecentosessanta gradi giovedì 24 marzo a Udine.  

Due gli eventi principali di una giornata per veri appassionati: prima, al PalaSport Manlio Benedetti di via Marangoni a Udine, su iniziativa dell’Associazione “Amici del Benedetti” presieduta dal professor Flavio Pressacco, un autentico salto nel passato per rievocare gli anni compresi tra il 1967 e il 1970 con riferimento alle città di Cantù e Udine, che ebbero in quei tempi come denominatore comune il grande Gianni Corsolini, scomparso nel 2021, il fautore del grande progetto della Pallacanestro Cantù degli anni Sessanta e successivamente direttore sportivo a Udine nella stagione 1970-1971, la seconda in Serie A dei friulani. Un altro monumento di questo sport, vale a dire Carlo “Charlie” Recalcati, è stato nominato testimonial dell’evento, avendo egli prima giocato e poi allenato la formazione comasca all’interno di una carriera che l’ha visto diventare nientemeno che l’allenatore più vincente della storia di questa disciplina in Italia. 

Successivamente, nella propria sede dell’hotel Astoria di piazza XX settembre, il Panathlon ha organizzato la consueta serata con ospiti e soci, facendo sedere al tavolo dei relatori, oltre al sopracitato Recalcati, anche Luca Corsolini, figlio di Gianni, il Direttore tecnico dell’Area sportiva dell’Apu Old Wild West Udine Alberto Martelossi e il coach dell’Apu Matteo Boniciolli oltre che il moderatore della serata, Antonio Simeoli.  

In sala, tra gli altri, anche il capitano della squadra friulana, Michele Antonutti, l’amministratore delegato Gianpaolo Graberi, il preparatore atletico Luigino Sepulcri e Giovanni Piccin, che in carriera ha collaborato con coach del calibro di Ettore Messina, Boscia Tanjevic e lo stesso Recalcati, vincendo un oro e un argento europeo, e partecipando due volte ai Giochi Olimpici (argento nel 2004 ad Atene).  

La serata, dedicata dunque a Gianni Corsolini ed intitolata “Fra Cantù e il Friuli: una persona speciale nello sport e nella vita”, non poteva che iniziare dalle parole del figlio Luca, particolarmente grato per il tributo al padre e per gli omaggi che il Panathlon ha voluto dedicare agli ospiti, ossia delle borracce riportanti i nomi degli ospiti relatori seduti al tavolo.  

“I due pendoli che hanno scandito la vita matura di mio padre sono stati sicuramente Udine e Cantù”, ha detto. “L’avete definito speciale: senza dubbio lo è stato nell’idea di basket di cui ha intriso tutta la sua carriera, un’idea basata su poco individualismo e tanta collettività sia sul parquet che nelle cariche che ha rivestito. Quando fu presidente di Lega, ad esempio, pur essendo totalmente contrario a promuovere la regola del secondo straniero in campo ascoltò le richieste di tutti i presidenti della Serie A e si impuntò col CONI perché la regola venisse approvata. Ricoprire quel ruolo significava fare sue le idee del Movimento anche senza condividerle. D’altra parte si era forgiato in uno sport, il basket, che ai tempi non viveva di gelosie tra società come ora bensì cercava di crescere con sintonia e cooperazione, basti pensare a quando, originario e fieramente bolognese, portò alla squattrinata Virtus dell’epoca lo sponsor che finanziava la ben più ricca Cantù, presso cui era in forze come dirigente; insomma, in campo tutti volevano vincere ma fuori ci si alleava per il bene comune.”

C’è stato spazio anche per qualche simpatico aneddoto: Corsolini che, a Bologna, si ritrovò ad essere allenatore di un certo Lucio Dalla, del quale diventò anche complice quando il ragazzo aveva bisogno di guadagnare del tempo per suonare in un negozio di strumenti musicali al termine dell’allenamento e non poteva dirlo alla propria madre. Corsolini che, poco prima della sua scomparsa, scrisse un’interessante mail a Flavio Pressacco in cui spiegava il fenomeno della Bologna Rossa, una città che nel secondo dopoguerra cercava di divincolarsi dal pensiero unico potendo contare su una vasta comunità universitaria, con tanti stranieri, e sull’ansia di poter concretizzare la speranza di un mondo nuovo costituito dalla stima e dalla simpatia verso tutte le specialità statunitensi: sport, letteratura, musica…non solo il basket dunque, ma anche il baseball, il jazz, i libri di Steinback e di Hemingway. Ci si disperava addirittura per la scelta di Grace Kelly di sposare il principe Ranieri invece che cedere alla corte dei giovani della città che stravedevano per lei!  

Alla luce di tutto ciò il basket, diceva lui, era una passione non secondaria, era respiro cittadino, era espressione creativa: nel ‘53 il sindaco diede il là ai lavori che nel ‘56 videro sorgere il PalaDozza, tutt’ora tra i più bei palazzi sportivi non solo in Italia, grazie a cui la pallacanestro trovò il suo spazio nel centro città, alla portata di chiunque.  

La parola è passata a coach Boniciolli, che ha definito affettuosamente strana la serata in cui è stato coinvolto tra nomi del passato e luoghi a cui lui stesso è stato legato in gioventù, dal basket camp cui partecipò 45 anni fa conoscendovi Luca Corsolini, al provino che fece nella Cantù di coach Recalcati, a Bologna dove anche lui ha allenato. “Ci è richiesto di essere rigorosi nel nostro lavoro, ma ciò che mi piace di questa serata legata a Gianni è che si possa ricordare come persone come lui abbiano sempre saputo conciliare la concretezza del fare con il divertimento leggero, il sano cazzeggio che le hanno rese le persone che noi ricordiamo. Basti vedere come Luca parli di suo padre come un allegro compagno di viaggio. In un tale clima di lavoro unito a cultura, raffinatezza, cultura e passione sono nate tante belle cose di questo Paese, tra le quali la pallacanestro che c’è stata.”  

Gli ha fatto eco Recalcati, ritenendo che “i bolognesi che io stesso ho conosciuto erano come Gianni: lavoratori ma anche disincantati, autoironici. Nel corso della mia carriera, anzi della mia vita, ho avuto Gianni come allenatore, dirigente, general manager, presidente… Lo conobbi a 13 anni quando giocavo a Milano e andavamo a sfidare le due squadre di Cantù, perché lui non si accontentava di averne una sola, ma lì era solo l’allenatore della squadra avversaria. Due anni più tardi Corsolini mi convocò per far parte della selezione giovanile della Lombardia spiegandomi che quella era sì un’occasione per mettermi in mostra come giocatore ma che non avrei mai dovuto smettere di crescere in primis come persona. Non si limitò a questo: successivamente mi chiamò a giocare in Serie A a Cantù convincendo i miei genitori, che fino a quel momento avevano creduto che lo sport fosse rappresentato solo dal Giro d’Italia che periodicamente passava sotto casa nostra in via Sarpi a Milano.” Recalcati ha raccontato poi della lungimiranza di Corsolini, che, accorgendosi che la pallacanestro stava rapidamente crescendo e che presto non sarebbe più stata composta solo da dopolavoristi e studenti universitari bensì da professionisti, volle chiamare a Cantù allenatori del calibro di Arnaldo Taurisano e Borislav Stanković per regalare il salto di qualità alla squadra anche a costo di farsi da parte, tant’è che non volle mai lasciare quello che considerava il suo vero posto di lavoro presso l’azienda della famiglia Allievi, ottenuto insieme all’incarico di essere l’head coach della squadra di basket. “Costituì insieme alla famiglia Allievi, per primi in Italia, il codice della foresteria per fare arrivare e poter accogliere giocatori non solo del circondario ma di tutto il Paese, non smettendo mai di curarne anche la crescita umana.” Era, a detta di Recalcati, un aziendalista, uno che certe intuizioni per crescere e per innovare ce le aveva prima di chiunque altro: “Quando non esistevano il marketing e la comunicazione mediatica, lui li inventò. Fummo i primi ad avere dei giornalisti al seguito quando giocavamo in Eurolega, i primi a fare la presentazione della squadra pubblicamente chiamando testimonial d’eccezione.”  

Ma chi c’era a fianco di una persona così devota, umile e competente come Gianni? Solo un nome: Mara. “Era il generale di casa; lui non poteva esistere senza di lei e lei non poteva esistere senza di lui. Li considero i miei secondi genitori. Ricorderò sempre che prima di andare ad allenarmi dovevo passare da lei per un’ora e mezza di lezione di diritto privato, e anche che si arrabbiò con me quando rinunciai alla presidenza federale, ma posso felicemente dire con assoluta certezza che la famiglia Corsolini mi ha cresciuto e mi ha cambiato la vita.”  

Si è passati poi a parlare di presente, del filo che unisce ancora oggi Udine e Cantù in lizza sul campo per la promozione in A1: la parola è andata all’ideatore della serata, Alberto Martelossi. “Il fatto che una squadra sia prima in classifica e l’altra seconda significa avere ancora intatte le speranze di vedere entrambi i club promossi insieme.” 

Cos’è cambiato, allora, rispetto ai dirigenti di un tempo, tra i quali possiamo collocare una persona valida come Corsolini? Ha risposto Boniciolli: “Il discorso è molto ampio, ma noi come movimento sportivo ci troviamo nel mezzo. A mio avviso il vero problema è la totale mancanza di prospettiva, che si riflette nella gestione in generale di questo Paese. Veniamo da generazioni dirigenziali in cui si pensava all’oggi ma con un occhio al domani; adesso si ragiona sul giorno prima, raramente sull’oggi e mai sul domani.” Da notare curiosamente come questa tematica, che non smette mai di essere di moda e che ha suscitato grande interesse tra gli ospiti in sala in un silenzio più che mai assorto, sia stata trattata esattamente nel momento in cui la Nazionale di calcio subiva il gol da parte della Macedonia che la condannava all’eliminazione dai play-off per i Mondiali. Quando si dice il destino. 

Possibili soluzioni? Tra tutte, quella di far risorgere l’interesse nei confronti dello sport di serata, il basket, cercando di imitare quanto accadde a Bologna negli anni Cinquanta: Corsolini ha ripreso il microfono e ha lanciato una proposta a Martelossi e a Boniccioli, chiedendo di “allenare di tanto in tanto l’APU al Marangoni, compatibilmente con i piani societari, aprendo il palazzetto alla città e facendo sentire le urla del coach da vicino ai tifosi. Il bello di Udine è che ha una progettualità che si intuisce anche nelle grandi risorse che ha la prioprità del club. Dico che sarebbe bello entrare in un ristorante Old Wild West e vedere i camerieri indossare le maglie dei giocatori di basket, oppure rivedere i canestri nelle nostre piazze per far giocare la gente; sono sicuro che mio padre avrebbe fatto subito questa richiesta, non per il gusto di aprire la bocca bensì secondo un principio basilare racchiuso in una frase di Kennedy – smettiamo di chiederci cosa il basket può fare per noi e chiediamoci cosa possiamo fare noi per il basket. Si tratta di metterci passione, di prendere iniziative come questa e smettere di piangerci addosso guardandoci avanti, altrimenti avremo sempre un pubblico che sa tutto di NBA e nulla di basket italiano. Udine è appunto bella e fortunata perché non avrà tanti giocatori friulani ma conta sul senso di identità di giocatori italiani che sanno benissimo di rappresentare il basket friulano, della società (Alberto) e del tecnico (Matteo).” 

Secondo Boniciolli è sempre la visione che fa la differenza, perché secondo lui siamo arrivati al punto in cui chi parla di futuro dà addirittura fastidio: “Recalcati fu quasi profetico quando, all’indomani della finale olimpica del 2004 persa contro l’Argentina, ebbe la premura di lanciare un monito al movimento del basket italiano avvertendo che continuando con una certa politica di lì a poco ci si sarebbe ritrovati senza giocatori. La stampa ne ha parlato forse per i due giorni successivi, perché credo che venga preferito chi si accontenta di distribuire le briciole oggi facendo credere a tutti che vada tutto bene rispetto a chi si preoccupa del futuro quando potrebbe limitarsi a godere dell’argento che porta intorno al collo.” 

Ha rincarato la dose Corsolini, rammentando come l’anno scorso la Federazione Italiana Pallacanestro abbia compiuto 100 anni di storia e non sia stata indetta alcuna celebrazione a causa della situazione pandemica né sia stato semplicemente proposto di farlo: una prova, a suo dire, della debolezza del movimento. “Abbiamo una storia e invece che esibirla la stiamo nascondendo. Qui con noi c’è probabilmente il miglior rappresentante della fierezza che dovremmo avere noi del basket per questo sport, e si chiama Giorgio Gorlato; invece abbiamo preferito rinunciare ad una festa che tutte le altre federazioni mondiali ci invidiano.” 

Non c’è stata voglia di pessimismo, durante questo intrigante evento conviviale, bensì di riflessione: al tavolo si sono alternate voci di chi ha tante idee per il futuro alla luce di quanto fatto nel passato sia per i traguardi sportivi conseguiti sia per la profondità morale e la passione profusa in tanti anni di attività. 

A suggellare i bei ricordi di Gianni Corsolini è stato infine proiettato il video di una sua intervista a Udine risalente al 2018 con tanti degli ospiti della nostra serata seduti quella volta in sala ad ascoltare le parole di un uomo brillante, capace e stimato.

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